Testi


Recensioni, commenti, stralci critici in Italiano e in Inglese
[Reviews in Italian and English by art critics, curators and writers]
 
2021 - Arianna Agudo (monografia Magia, fiabe e moda 2021)
2020 - Manlio Tommaso Gaddi (monografia Infinite donne ed altri universi 2020)
2020 - Sabina Caligiani (personale Infinite donne 2020) 
2019 - Andrea Ungheri (personale Infinita Donna 2019)
2019 - Tiziana Todi (personale Infinita Donna 2019)
2017 - Tiziana Todi (personale Corrispondenze)
2016 - Manlio Tommaso Gaddi (vedi pagina Personali 2015-2020)
2015 - Giorgio Di Genova (personale La Gaia Ittiologia)
2013 - Giorgio Di Genova (40° Premio Sulmona)
2011 - Roberto Codini (personale congiunta, Roma)
1998 - Giorgio Serafini Prosperi (seguito del testo del 1997)
1997 - Giorgio Serafini Prosperi (testo della 1° mostra personale, Roma)


 
ARIANNA AGUDO

2021
 
I pluriversi di-segni di Renata Solimini

In uno straordinario saggio del 1981 dedicato a Julio González – Quest’arte nuova: disegnare nello spazio– Rosalind Krauss individua la genesi dei disegni realizzati a partire dal 1932 dall’artista spagnolo nell’antica pratica del riconoscere e proiettare figure nelle costellazioni, in quegli impertinenti disegni tracciati o suggeriti dalle stelle sempre così indifferenti nei confronti dell’aspetto reale delle cose. Come sostiene la studiosa, «disegnare con le stelle è, letteralmente, costellare, cioè impiegare una tecnica che non è né mimetica né astratta». Disegna le stelle, con le stelle e nelle stelle Renata Solimini: costruisce-inventa-sogna universi pulsanti, cinetici e vorticosi dove vengono accostati spazi e tempi diversi (Osservo il giorno e la notte, la luce e il buio è il titolo di una delle opere contenuta nella sezione Moda del presente volume), come dei pluriversi in cui le cose esistono, coesistono e accadono simultaneamente. Una cosmografia di-segni la cui forza sembra trasferirsi direttamente dal cosmo alla mano dell’artista, in quel ductus (o tratto) che, come scrive Roland Barthes nel saggio dedicato a Cy Twombly, «rinvia sempre a una forza, a una direzione: è un energon, un lavoro, che invita a leggere la traccia della sua pulsione», del suo desiderio. Ed è un desiderio paradossale quello di Renata Solimini, un desiderio che nega il suo stesso etimo (laddove de-sidera significa letteralmente “assenza-mancanza di stelle”) e, anzi, lo inverte, lo sovverte, lo rivoluziona sovrapponendo così il duplice significato di quest’ultimo termine che, come ci ricorda Hannah Arendt nel celebre saggio del 1963 – Sulla rivoluzione– solo nell’epoca moderna ha assunto il significato di “movimento sovversivo”, ma nella significazione primigenia indicava invece il moto circolare, perpetuo degli astri.

I pluriversi di Renata Solimini sono abitati da costellazioni di segni di diversa gradazione o densità semantica: accanto ai simboli iper-codificati e iper-riconoscibili come quegli UFO che compaiono, ad esempio, in Attacco dal Cor-UFO o in Cor-UFO Magican (e qui parlo di simbolo nel senso junghiano, ovvero quel segno che travalica il significato immediato e, appunto, si fa “mediatore” tra inconscio e sfera cosciente – non a caso lo psichiatra aveva dedicato diversi studi al fenomeno ufologico avanzando l’ipotesi che si trattasse di una proiezione dell’inconscio collettivo la cui forma archetipica rimanderebbe a quella del mandala intersecando, così, la matrice orientale di cui sono pervasi i lavori di Solimini) e la presenza della scrittura alfabetica, le opere sono costantemente attraversate dalla cosiddetta scrittura asemica. Quest’ultima, che da sempre ha esercitato sulla sottoscritta un enorme fascino dato dalla convergenza di letteratura, arte e musica (manganellianamente intesa come linguaggio libero dal “fardello del significato”), e che nella tradizione artistica occidentale conta su antecedenti illustri quali il surrealista Andrè Masson (la cui semigrafia interseca la tecnica della cosiddetta scrittura “automatica” alle suggestioni provenienti dal calligrafismo orientale), fino al grafismo “allusivo” di Cy Twombly dove, come scrive ancora Roland Barthes, il gesto incarna (ossia si fa letteralmente “corpo”) «la somma indeterminata e inesauribile delle ragioni, delle pulsioni, delle inoperosità che circondano l’atto di un’atmosfera (nella sua accezione astronomica)». Tutti assunti che potrebbe essere ascritti anche all’elaborazione asemica di Solimini e la sua creazione di “spazi” inter-testuali, dove convivono, uno a fianco all’altro, diverse tipologie di testo che ci consentono di «viaggiare uno spazio culturale che è aperto, senza limiti, senza compartimenti»– come scrive il semiologo francese a proposito del succitato Masson– precipitandoci in un “territorio magico” in cui ogni segno (o Lettera, secondo Barthes), «è il punto di inizio di una imagerie vasta come una cosmografia».

Quello “spazio culturale aperto e senza limiti” di cui parla Barthes ha come inevitabile esito il cosiddetto pastiche tipicamente postmodernista e, in effetti, se dovessimo dare una collocazione ai lavori di Renata Solimini, stabilire che posizione occupi nell’universo artistico (d’altronde, sempre Barthes ci ricorda che «per essere conosciuti, gli artisti devono attraversare un piccolo purgatorio mitologico: è necessario che si possa associarli meccanicamente a un oggetto, a una scuola […] in una parola, che si possa classificarli»), pur consapevoli della parzialità e sterilità di questa operazione classificatoria, mi sembra innegabile una certa assonanza con il linguaggio postmoderno. Quel modo di accostare elementi eterogenei, di affastellare frammenti di senso e di mondo (visibile e non) su una superficie che sembra poter accogliere e rimandare a tutto, appartiene a quella strategia allegorica –o, “impulso”, come lo chiama Craig Owens– che permea il linguaggio artistico a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso: numerose sono, ad esempio, le citazioni presenti nelle sue opere (riconoscibilissime quelle che rinviano formalmente a Mondrian, Chagall, Klee, Kandinskij); citazione che è strumento allegorico per antonomasia con il suo “rinviare a” (etimologicamente il “parlare altro”), rimandare a un “fuori” da sé, a un “altro” o “altrove” che, allo steso tempo, si fa sostanza ontologica. L’accostamento di elementi figurativi e astratti ci porta invece nel territorio del realismo magico – da intendere sempre come “sottocategoria” del postmoderno– e la sua intersezione con il linguaggio surrealista e quello della letteratura fantastica. Di quest’ultima conserva soprattutto quel senso di esitazione di cui parla Tzvetan Todorov ne La letteratura fantastica, che consiste in quella sensazione di indecidibilità tra molteplici e/o possibili letture del testo: insomma, siamo nel territorio del realismo o in quello, meraviglioso, della magia? Devo leggere o guardare? Parafrasando Gastone Novelli e il suo fondamentale Pittura procedente da segni (1964), tutti quei segni, lettere, volti, colori, frammenti, materiali, appartengono allo stesso titolo al medesimo, personale pluriverso di Solimini; un pluriverso di-segni unico e magico dove, per dirla con Novelli, «tutti gli universi sono possibili». (dalla Monografia Magia, Fiabe e Moda a cura di Manlio. T. Gaddi, 2021)

 

 
MANLIO TOMMASO GADDI

2020

Esplorando il cosmo di Renata Solimini

Caratteristica peculiare dell’opera d’arte è di permettere a chi ne usufruisce di poterla valutare, assaporare in una parola viverla sulla base delle sue conoscenze e competenze. E perché no anche del momento particolare in cui questo si avvera: la Nona di Beethoven è allegra o triste? Personalmente l’ho ascoltata ricavandone in momenti e situazioni diverse entrambe le suggestioni.
Così un quadro informale permette letture diverse, che possono andare al di là delle pure sensazioni visive, o anche tattili a volte, per giungere fino ad identificare nel gioco delle forme date dai colori figure e/o paesaggi, come succede giocando a guardare le nuvole che si rincorrono nel cielo: ecco un cavallo, una sirena, una figura divina, …
Opere metafisiche possono permettere introspezioni altrimenti impensabili.
In questo contesto, Renata Solimini non è la sola a fare ricerche come quelle qui presentate: esplorare mondi alieni, mostrare paesaggi non visibili altrimenti all’occhio umano, evidenziare strutture ed elementi noti solo attraverso gli strumenti della fisica quantistica. In diverse opere si vedono, o intuiscono, simboli e formule, partendo dai più noti significati di π e γ per arrivare ai movimenti armonici e alla Teoria delle Stringhe (Il Caos della Fisica del 2019; Dialoghi della Fisica del 2019), al movimento degli elettroni negli orbitali quantici (Energia del 2019). Forse compare anche la Funzione Z di Riemann, e la sua non risolta Ipotesi.
Che la ricerca di Renata Solimini tenti di essere per quanto possibile vasta lo dimostra l’inserimento in un’opera della Stella Tartesica (Rub ‘al-Hizb del 2019) presente non solo nella cultura araba ma anche in quella ebraica come Sigillo di Melchisedec, è simbolo del pianeta Venere e per estensione della Dea dell’Amore, e questo anche nella cultura indù dove è nota come Stella di Lakshm che è non a caso Madre dell’Universo oltre che Dea dell’Abbondanza e sposa di Visnu, da cui ha avuta la figlia Kama che è anch’essa Dea dell’Amore, e chiudiamo con il lingam di Shiva.
È difficile visualizzare panorami che non si sono mai visti, e che non saranno visibili per chissà quanto tempo ancora, ma Renata Solimini ci prova pensando a soli dai colori improbabili, a sistemi planetari con due o più soli roteanti fa loro. Vedendo questi paesaggi alieni tornano alla mente letture di fantascienza (che non è letteratura di seconda serie, basti pensare a firme come Isaac Asimov, Arthur C. Clake, Ursula Le Guin, …) primo fra tutti forse Pianeta Tschai [1], ma anche le ostili montagne e le desertiche pianure di I superstiti di Ragnarock [2].
Altri importanti riferimenti si possono trovare nell’opera Pioggia creativa (2019) dove compare il monolite di 2001: odissea nello spazio [3], ed al centro è visibile una galassia a spirale con quello che potrebbe essere un Buco Nero, possibile porta di Tannhäuser descritta dal replicante Roy Batty, magistralmente interpretato da Rutger Hauer, in punto di morte in una epica scena di Blade Runner [4], e sulla destra dell’opera vediamo i bastioni di Orione, mentre dall’alto a sinistra si notano le scie dei raggi B. Interessante notare come nell’opera compaia anche un paesaggio urbano, non è dato sapere se terrestre o alieno, ed in basso il tracciato di quello che potrebbe essere un elettrocardiogramma, o comunque un segno di funzioni vitali, umano od alieno anch’esso.
Sappiamo che già solo nella nostra galassia ci sono migliaia, se non milioni, di pianeti, moltissimi con caratteristiche simili alla Terra. Sorge spontanea una domanda: possono esistere altre forme di vita nell’universo? Cioè esseri in grado di nascere, riprodursi e morire? Se si, saranno basati sul carbonio o sul simile silicio, o magari il germanio tutti nello stesso gruppo del Sistema Periodico ed in grado di formare lunghe catene di atomi, ma tuttavia ovviamente molto diversi fra di loro come comportamento chimico.
Renata Solimini risponde positivamente alla domanda, mostrando alcune creature a lei molto care come sono i pesci [5], che vivono nell’acqua dove ha avuto origine la vita sul nostro pianeta. In Enigma (2018) quello che sembra un nostro pesce abissale nuota in superficie mentre un sole rosso sale (o scende) sull’orizzonte e un altro astro brilla nel cielo; piccoli pesci nuotano nel mare mentre un secondo grande pesce si libra nell’aria, emettendo bolle che apparentemente vanno a formare una scrittura ignota. L’insieme è reso più surreale dalla comparsa sulla sinistra di un piccolo quadro che pare raffigurare un Maharaja indiano.
Allora c’è vita, se c’è è intelligente? Nella maggior parte delle opere qui presentate non c’è traccia di vita, a parte qualche pesce, anche il mondo vegetale è presente solo nel quadro Montagne viola (2018) con degli alberi. Però in molte opere, partendo da due quadri omonimi Asemic landscape (2018), e non solo su questi,  sono evidenti segni che, rapportati con le dimensioni delle colline, devono essere enormi e richiamano i geoglifi di Nazca, quindi fanno pensare ad un tipo di trasmissione del pensiero, cioè alla scrittura ancorché non decifrata, come del resto è a tutt’oggi per molte delle scritture terrestri come il cretese Lineare A, il Rongo Rongo dell’Isola di Pasqua, il nostrano Etrusco. Quindi nella cosmologia di Renata Solimini oltre alla nostra ci sono altre forme di vita intelligenti nell’universo, a diversi gradi di sviluppo tecnologico, come evidenziato in Discovering (2019) dove oltre al gigantesco pesce, che sovrasta le due piramidi sulle quali si trovano frecce indicatrici e scritte che portano a Stargate [6], ci sono un disco volante, segno di civiltà avanzata, e una mongolfiera segno di una civiltà più arretrata, che non a caso nella navicella mostra un essere dalla forma vagamente umanoide.
Altra presenza di essere senziente è in Sembra un angelo caduto dal cielo (2019) che ricorda l’angelo Pygar che trasporta Barbarella, interpretata da una bellissima e sexy Jane Fonda, nell’omonimo film [7].
Per finire forse non è inutile sottolineare come nell’universo noi siamo gli alieni rispetto ad altri probabili, direi sicuri esseri viventi e senzienti. Frederic Brown evidenzia molto bene, con la tecnica dello straniamento che permette di scrivere qualcosa di ignoto come noto e viceversa, nel suo racconto breve Sentinella [8] del 1954.
Anche Renata Solimini usa lo straniamento nel farci vedere queste sue particolari opere, essendo noi gli alieni.
(dalla Monografia Infinite donne e altri universi a cura di Manlio. T. Gaddi, 2020)


[1] Planet of the adventure di Jack Vance del 1970. In italiano Pianeta Tschai in Biblioteca di Urania n.1, Mondadori, 1978 
[2] Di Tom Godwin, in Urania n. 229, Mondadori, 1960 
[3] Film del 1968, regia di Stanley Kubrick, dal racconto La sentinella di A.C. Clarke 
[4] Film del 1982, regia di Ridley Scott, tratto dal romanzo Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick 
[5] Vedi La gaia ittiologia di Renata Solimini di Giorgio Di Genova, in Renata Solimini di Manlio Gaddi, Prinp Editore, 2016 ISBN 978-88-99743-09-3, pagg.103-133 
[6] Film del 1994, regia di Roland Emmerich 
[7] Film del 1968, regia di Roger Vadim, con Jane Fonda e Ugo Tognazzi. 
[8] Sentinella (Sentry) è un racconto di fantascienza di Fredric Brown del 1954. È considerato un classico della fantascienza ed è apparso in numerose antologie, pubblicato la prima volta in Italia nel 1955 con il titolo Avamposto sul pianeta X. 
Trama 
Il protagonista è un soldato impegnato in una guerra interplanetaria contro una specie aliena, l'unica altra razza intelligente della propria galassia, che si trova su uno sperduto pianeta, a cinquantamila anni luce da casa. La fazione nemica è assai ostile e crudele tanto che non tentò mai di trovare un accordo pacifico neanche al loro primo contatto. Egli sta sorvegliando la sua posizione in trincea e soffre per la lontananza da casa, per le privazioni causate dalla guerra e per l'ambiente ostile: è bagnato fradicio, è coperto di fango, ha freddo e fame, fatica a muoversi in quanto la gravità è doppia di quella del suo pianeta, l'ambiente è illuminato da una stella con una gelida luce blu e spazzato da un forte vento. Come tutti i soldati di tutte le guerre, tende a considerare più fortunati i militi delle altre forze armate, concedendosi un moto d'invidia per "quelli dell'aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi". Improvvisamente il protagonista vede uno dei nemici che sta tentando di avvicinarsi, allora prende la mira con il fucile, fa fuoco e lo uccide.
Il racconto è narrato in modo da spingere il lettore a identificarsi con il protagonista. Nelle ultime frasi, però, avviene il colpo di scena, perché il soldato, descrivendo con disgusto l'aspetto "troppo schifoso" del nemico ucciso, lo definisce "con solo due braccia e due gambe, quella pelle di un bianco nauseante e senza squame": il lettore si rende conto che, in realtà, ha letto il racconto di un soldato alieno che ha appena ucciso un essere umano.


MANLIO TOMMASO GADDI

2020

L'Occhio

 
Forse nessuno come Georges Bataille ha capito la funzione vera dell’occhio, che vede sia quando descrive la sorte del torero cui il toro cava un occhio nell’arena, sia quando l’Inglese si toglie da solo un bulbo oculare per darlo a Simona (Georges Bataille, Storia dell’occhio). 
Gli occhi di Renata Solimini vedono in maniera diversa da quelli di Bataille, a dimostrazione, come provato da Akira Kurosawa nel suo film Rashômon che ognuno vede quello che vuole, o che può. 
L’occhio umano è stato usato come simbolo sin dall’alba della civiltà.
“Gli occhi sono probabilmente l’organo sensoriale simbolico più importante. Possono rappresentare la chiaroveggenza, l’onniscienza e/o una porta nell’anima. Altre qualità a cui gli occhi sono comunemente associati sono: intelligenza, luce, vigilanza, coscienza morale e verità. Guardare qualcuno negli occhi è un’usanza occidentale che suggerisce onestà. Detto questo, coprirsi gli occhi, indossare occhiali da sole, ecc. Può significare mistero, non vedere completamente la verità o l’inganno. L’occhio spesso significa giudizio e autorità.” Dictionary of Symbolism, Università del Michigan.
Infatti in quasi tutte le culture, il simbolo dell’occhio è associato a concetti spirituali quali la divinità (l’occhio della Provvidenza), l’illuminazione spirituale (il terzo occhio) e la magia (l’occhio diabolico). Molto spesso (cattolici, massoni) l’occhio è inscritto in un triangolo dal significato esoterico. A causa della forte influenza della Massoneria sugli eventi storici, il simbolo dell’occhio che tutto vede fu incluso in documenti importanti come nel Grande Sigillo degli Stati Uniti e nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo.
Solimini invece è iconoclasta e lo inscrive o in rombi o in cerchi, oppure, alla Bataille, in un pesce-vagina.
Il simbolo dell’occhio è un archetipo che trascende il tempo e lo spazio. Forse perché gli uomini rispondono istintivamente ad uno sguardo, c’è qualcosa in quel simbolo che è sconcertante ma affascinante. Mentre, nei tempi antichi, il simbolo dell’Occhio che tutto vede era spesso identificato con il dio del sole, divenne gradualmente un simbolo del potere delle società segrete che hanno modellato la storia negli ultimi secoli. Renata Solimini vede l’Occhio della Creazione (2018) in bilico fra inferno e paradiso, entità divise dal triangolo esoterico dove i due lati minori hanno ognuno un occhio. Questo occhio è forse il più famoso, è inscritto nel triangolo equilatero, che a livello simbolico corrisponde al numero 3, quello della perfezione, talvolta accompagnato dal nome ebraico di Dio, Jahvè. Questo simbolo è stato poi acquisito dai massoni che gli attribuiscono due principali significati: il Sole sul piano fisico e Dio sul piano spirituale. Mentre il triangolo, per i massoni, simboleggia la Durata (base), le Tenebre e la Luce (i lati). Osservate che il triangolo fatto da Solimini ha, certo non a caso, la punta verso il basso, simbolo di femminilità. 
Ma quanti occhi possono avere gli animali? Alcuni sono privi di occhi, ad esempio l’Astyanax mexicanus e il proteo, che vive tra le rocce delle grotte.
È nota una sola classe di animali con un occhio solo: i Copepodi, piccolissimi crostacei d'acqua dolce lunghi meno di 1 cm, di cui, non a caso, il più noto è il ciclope (Cyclops), così chiamato per analogia con il gigante monocolo della mitologia greca. Tutti i mammiferi, gli uccelli, i rettili, i pesci e gli anfibi hanno invece due occhi, con una sola eccezione: il tuatara, un rettile, un fossile vivente (appartiene all’antichissimo ordine dei Rincocefali o Sfenodonti, comparso sulla Terra 220 milioni di anni fa insieme ai dinosauri più antichi), ha un terzo occhio posto al centro del cranio, detto occhio parietale. Ma gli occhi possono essere molti, ad esempio il ragno che può avere da 6 a 8 occhi semplici, mentre Il maggior numero di unità si trova nelle specie che cercano il cibo e il partner volando, e il record spetta alle libellule, che possono averne fino a 28 mila.
Il Granchio (2016) ha due peduncoli oculari, ma è circondato da decine di occhi che osservano,  alcuni benevoli altri malevoli. Ricorda i collage di Guy Harloff. Come dice il detto popolare: gli occhi sono le finestre dell’anima, forse da qui parte l’interesse di Renata Solimini per l’occhio, le sue funzioni ed i suoi molti significati simbolici, infatti l’occhio che tutto vede ha un significato profondo, ed è importante per i poteri che possiede.
Poiché il simbolo dell’occhio è associato al sole – un collegamento con la divinità – l’occhio esoterico ha una qualità peculiare: è “onniveggente”. L’archetipo del dio sole con un occhio solo può essere trovato in altre culture antiche.
Gli occhi dipinti di Renata Solimini hanno un problema: scrutano, guardano fissamente lo spettatore.
L’occhio che fissa ha a sua volta un’accezione negativa in quanto simbolo del malocchio, ovvero della capacità di trasmettere odio o avversione attraverso lo sguardo: in diverse parti del mondo quando qualcuno guarda con insistenza un neonato o un bambino, si ritiene porti sfortuna e sia necessario fare alcuni rituali più o meno semplici per allontanare la cattiva sorte. Molto usato in questi casi è l’Occhio di Allah, o semplicemente chiamato Evil Eye, famoso Amuleto contro il “Malocchio”. 
Infine non è possibile non notare l’interesse di Renata Solimini per l’uso del colore, che trattandosi dell’occhio richiama l’iridologia, disciplina che permetterebbe di individuare eventuali malesseri fisici o affettivi osservando la pupilla, il suo colore, il suo contorno e altri aspetti caratteristici: i movimenti della pupilla rappresenterebbero un vero e proprio linguaggio in grado di trasmettere specifici messaggi. 
Anche Renata Solimini attraverso questi occhi ci trasmette i suoi messaggi. 


SABINA CALIGIANI

2020

Nata dall’estro creativo della pittrice Renata Solimini “Infinita Donna 2020” appare come un grande mosaico di cui il tempo e la storia hanno fissato tasselli con una miriade di immagini al femminile  tutte assai diverse per epoche, culture, indole  e vocazioni.  L’artista intende riconoscere l’esistenza di una genealogia delle donne, compiendo un lungo viaggio nel tempo, ripercorrendo la storia inoltrandosi fin nelle culture arcaiche. Così antiche dee, figure leggendarie e bibliche, di cui v’è ancora traccia nella memoria collettiva, riemergono dal mito insieme a donne che nel corso dei secoli, fino ai giorni nostri, hanno lasciato una impronta indelebile nella cultura, nella scienza, nell’arte e nella spiritualità e tutte acquisiscono una modernità nel presente e si proiettano nel futuro. La poetica di Renata Solimini non è però semplicemente esclusiva esaltazione della potenza del femminile, ma riconoscimento del valore del maschile e della dualità di genere attraverso la raffigurazione di coppie celebri nei campi della cultura, della scienza e dell’arte. Una raffinata tecnica pittorica, ispirata dai suoi studi e ricerche su antiche scritture orientali, dona leggerezza alla complessità dei contenuti esaltandone la ricchezza dei simbolismi.

[English] The show “Infinity woman 2020” born from the creative flair of the painter Renata Solimini appears as a great mosaic of which time and history have set pieces with a myriad of female images, all very different for eras, cultures, natures and vocations. Th­e artist intends to recognize the existence of a genealogy of women, making a long journey through time, retracing history and entering into archaic cultures. ­Thus ancient goddesses, legendary and biblical figures, of which there is still a trace in the collective memory, re-emerge from the myth together with women who, over the centuries, up to the present day, have left an indelible mark in culture, in science, in the art and spirituality and all acquire a modernity in the present and project themselves into the future. However, the poetics of Renata Solimini is not simply the exclusive exaltation of the power of the feminine, but recognition of the value of the masculine and of the duality of gender through the representation of famous couples in the fields of culture, science and art. A refined pictorial technique, inspired by his studies and research on ancient oriental writings, gives lightness to the complexity of the contents exalting the richness of the symbolisms. 



ANDREA UNGHERI

2019

Il turbinio cromo-quantistico nelle pennellate di Renata Solimini

“La nostra immaginazione è tesa al massimo; non, come nelle storie fantastiche, per immaginare cose che in realtà non esistono, ma proprio per comprendere ciò che davvero esiste” Richard P. Feynman (La Legge Fisica, 1965)

Nel gioco del colore che attua Renata tutto lo spettro visibile si comincia a popolare, sinapsi, esserini, stringhe di pensiero.... traiettorie e volteggi di misteriose particelle animano un universo  di energia e vitalità quasi incontenibile, lapilli e scattering feynmaniani vengono addomesticati e inconsciamente svelati in una movimentata rappresentazione senza inizio e fine, per palesare all'osservatore il turbinio energetico delle vibrazioni intime e molecolari che ci pervadono e compongono la nostra esistenza, nel modo che solo un interiore profondo e sensibile femminile può dominare e mostrare.
(Dal catalogo della Mostra Infinita Donna, Galleria Vittoria, Roma, giugno 2019)


[English] The chromatic-quantum swirl in Renata Solimini's brushstrokes

“Our imagination is stretched to the utmost, not as in fiction, to imagine things which are not really there, but just to comprehend those things which are there” Richard P. Feynman
 (The Character of Physical Law, 1965)

In the game of colors that Renata is painting, the whole visible spectrum begins to being populated by synapses, creatures, strings of thought... trajectories and vaults of mysterious particles that animate a universe of energy and almost uncontainable vitality, sparks and Feynmanian scattering are domesticated and unconsciously revealed in an animated representation without a beginning or an end, to reveal to the observer the energetic swirl of intimate and molecular vibrations that pervade and compose our existence, in the way that only a deep and sensitive feminine interior can dominate and show.
(From the catalog of the exhibition "Infinity Woman", Galleria Vittoria, Rome, June 2019)


TIZIANA TODI

2019

Infinita Donna di Renata Solimini


Io so che qualcuno nel tempo conserverà di noi memoria.
Saffo, VII sec. a.C.

È da oltre un anno che con Renata Solimini ci ritroviamo a parlare dell’universo femminile, dell’importanza della donna nella storia dell’umanità.
Da qui nasce questa mostra fortemente voluta da entrambe, una mostra che rivela il percorso di Renata alla ricerca del mistero, la porta a dipingere donne che hanno segnato la loro epoca credendo con tenacia in quello che volevano esprimere. Con la sua pittura abbraccia queste donne, rappresentate ognuna di loro con il proprio vissuto, e traduce nella loro immagine l’essenza del loro modo di essere, attraverso l’intuito primordiale della sapienza del gentil sesso.
Lungo tutta la storia umana spesso abbiamo assistito a tentativi di sottovalutare la donna e dominarla, cercando di limitarla nelle sue espressioni spirituali, non comprendendo che ciò significa tarpare le ali all’evoluzione di tutto il genere umano.
La perfetta armonia, nasce infatti dalle due componenti, femminile e maschile, congiunte, che si fondono metafisicamente in un simbolico amplesso. Se pensiamo alle culture antiche l’archetipo del divino ci presenta dignità paritetiche nella loro diversità.
Per le donne tutto è espressione d’amore e di vita, anima e psiche sono un tutt’uno, caratterizzate dalla forza del sentimento che si nutre del sapere innato, saggezza e concretezza ne fanno un’asceta calata nel quotidiano.
La Solimini in queste sue opere entra nell’universo femminile, attraverso il rituale della sua pittura che si esprime trasformando in poesia il raziocinio femmineo che rappresenta.
Con le sue linee prepotenti agisce psicologicamente sull’osservatore, supera così l’essenza del segmento semplice ed esprime anche la vitalità della donna che raffigura.
Tutte le donne ritratte hanno segnato la loro epoca con le loro prese di posizione, con la caparbietà che le ha contraddistinte, che è anche la caparbietà dell’artista, facendo sì che le opere diventino di forte impatto, trascendenti, coinvolgenti per chi le osserva.
Renata vuole ricordarci che se aspiriamo all’infinito questo percorso passa necessariamente attraverso la donna e le sue conquiste interiori.
Le sue opere possono essere considerate come mappe, paesaggi dell’animo, carte di viaggio ricche di coordinate intime per l’analisi di ciò che non abbiamo ancora raggiunto. In questa ricerca è facile perdersi, ma la donna è la bussola, lo sguardo femminile è la via.
I simboli che esistono da sempre, ovunque presenti nel mondo dell’arte, la sua creatività di donna li utilizza in maniera originale.
Le opere di Renata sono piene di riferimenti, il suo è un linguaggio complesso e si esprime su molti registri contemporaneamente, quasi volesse esplorare tutte le possibilità a sua disposizione e contemplare in un solo sguardo le innumerevoli declinazioni del mistero della vita.
Da qui nasce una lettura libera dagli stereotipi, dai luoghi comuni e banali, che sonda la profondità di una riflessione estetica condivisa con chi osserva, ricca di implicazioni peculiari, e che testimonia una vitalità morale che non lascia indifferenti.
Quindi il linguaggio dei colori, delle forme, dei simboli, delle scritture, dei volti… vengono sapientemente utilizzati in una ricchezza che non si trasforma mai in caos e non ci porta mai ad una confusione o affastellamento privo di senso che comunica smarrimento. Non ci perdiamo nelle opere della Solimini, ma ci fermiamo, casomai, come compiere una vitale sosta rigenerante, per ripartire e non accontentarci di quello che abbiamo già compreso del mistero femminile.
(Dal catalogo della Mostra Infinita Donna, Galleria Vittoria, Roma, giugno 2019)
   
[English “I tell you, someone will remember us, in the future” Sappho (VII century BC)

Since over one year myself and Renata Solimini have discoursed on the feminine universe, on relevance of women in human history.
It is this dialog that originates the present exhibition, firmly demanded by both of us, an exhibition that reveals the route spanned by Renata in search of the mystery, urging her to paint women who characterised their time by the tenacious belief in what they wanted to convey. Renata's paintings embrace these women, in their images evokes their ways of being and own experiences, always enlightened by a primordial insight of feminine wisdom.
All along human history we usually observe attempts to overlook women and rule them, trying to restrict their spiritual instances, unaware that such a curtailment leads to holding down the evolution of the whole humanity.
Perfect harmony actually stems from both male and female components joined together, metaphorically merged into a symbolic embrace. When we track down to the ancient cultures, the divine archetypes put forward equal dignity albeit under diverse semblances.
Women sense that everything conveys love and life and that soul and psyche are one and the same, characterised by the strength of feeling that feeds on innate knowledge.  Wisdom and substance can transmute women into a kind of ascetics engaged in the ordinary world.
Renata Solimini accesses the women's universe through the practice of her painting, which embodies itself by translating the represented feminine rationale into poetry.
She exerts an emotional impact on the observer by her overpowering streaks, that overcome the essence of the mere delineation and that, at the same time, express the vitality of the portrayed female subjects.
All depicted women marked their time through stance and peculiar stubbornness, which is indeed the artist's obstinacy. Inherent strength emerges from her works, like the enthralling figurations were transcendental.
Renata seems to remind us that if we pursue infinity, the path passes necessarily through women and their deep-rooted conquests.
Her works can be regarded as maps, soul landscapes, journey tracings full of intimate coordinates that address what we still continue to hunger for. It is obvious to get lost in this research, but women are the compass, the feminine glimpse points to the way.
Her unique creativity deploys symbols that always, forever and anywhere, exist in the world of the arts.
Renata's works are full of facets, her language is complex and is simultaneously articulated in plenty of earmarks, like she aimed at exploring all available options to gaze upon the countless declinations of the mystery of life.
Her experimentation allows for a freethinking approach to depicting stereotypical, conventional, even trivial clichés. Such an attitude challenges the observer's aesthetic speculation, is full of peculiar implications and indicates a moral vitality that gets us definitely involved.
Colours, shapes, symbols, handwriting, visages, ...are wisely handled in a rich albeit never chaotic fashion that at no time engenders turmoil or meaningless mixup leading to bewilderment. So we don't get lost in Solimini's works, rather we deaden, like we arrived at a vital and renovating pause, ready to start again, unsatisfied for  what we have so far grasped on the feminine mystery.
(From the catalog of the exhibition "Infinity Woman", Galleria Vittoria, Rome, June 2019)

 
2017

Corrispondenze di Renata Solimini e Moan Lisa (Mark Rossmiller)

L’arte, in ogni sua manifestazione, è la più alta espressione umana della creatività e della fantasia ed è l’unico mezzo, che permette all’uomo di esteriorizzare la propria interiorità, unendo e consolidando i legami tra le diverse anime del mondo.
Attraverso il suo linguaggio universale, che tutti gli uomini sanno riconoscere, l’arte prende forma e visibilità attraverso la ricerca artistica e spirituale, parlando con il cuore e rivolgendosi al cuore, stimolando gli artisti a realizzarsi nelle opere, producendo una ricerca che diventa infinita.
Renata e Mark, in questa serie di dipinti, realizzati a quattro mani, compiono due processi fondamentali: percepiscono la realtà e la interpretano con un’idea, utilizzando le tecniche che sono a ciascuno congeniali, senza intromissioni, ma fondendosi armoniosamente. Il crossover artistico che ne deriva agisce su più livelli, i due artisti interagiscono tra loro, accogliendo le opere dell’uno nell’altro, con una ricerca esistenziale che sperimenta esiti dell’incontro tra il mondo delle idee e quello delle emozioni.
Loro incarnano una contaminazione linguistica tra sapere e discipline, propria dell’arte visiva, seguono istintivamente lo stesso percorso, ma in modo diverso per differenza culturale, temporale, con una evoluzione che cambia ognuno di loro, ma che si incontra cercando lo stesso fine e le stesse percezioni. La pratica artistica più pura esonda, procedendo di connessione in connessione, verso un messaggio inserito nel mondo della comunicazione.
La contaminazione proposta dai due artisti è molto interessante e produce opere molto  coinvolgenti e dotate di una freschezza e novità notevoli, anche se sappiamo che è sempre esistita e fa parte delle modalità vitali dell’essere umano, costituisce  la sua genesi, lega il passato al presente e futuro.
Se facciamo un passo indietro nella storia, troviamo mille esempi, ricordiamo i testi letterari ottocenteschi e molti esempi di opere che rappresentano la sintesi di rapporti fecondi di interdisciplinarità dei generi.
Simbologia e arte, da Oriente a Occidente, spesso fanno lo stesso percorso, seppur distanti migliaia di chilometri, e si ritrovano con le stesse forme, gli stessi simboli a significare le stesse realtà oggettive, opere intuitive e istintive che vanno oltre le distanze e le esperienze per unirsi nelle percezioni della mente e dell’animo umano.
Attraverso l’uso sapiente di forme e colori, attraverso l’inserimento di materiali diversi, Renata e Mark presentano il loro messaggio, che attraversa la nostra umanità in maniera multisensoriale, donandoci un biglietto per un viaggio che ci trasporta nel cuore del mondo, alle radici più intime dell’essere, quello autentico, bambino, che è dentro di noi, e che è in grado di leggere e interpretare l’energia vitale e gioiosa di ciò che lo circonda.
(Dal pieghevole della Mostra “Corrispondenze - Correspondences”, Galleria Vittoria, Roma, marzo 2017) 

[English] Art, in any of its expressions, is the highest externalization of human creativity and imagination, able to unify and strengthen the relationships among the diverse spirits of the world. A universal language, that everybody is able to recognize, materializes and makes visible art. The process stems from spiritual and creative research, which, originating from one heart, goes straight to others’ heart, incites artists to realize each own potential through artwork creation, and finally triggers an infinite loop.
The Roman Renata Solimini and the American Moan Lisa (Mark Rossmiller) have achieved a series of four-handed paintings, in which they accomplish the fundamental processes of perceiving reality and interpreting it. The pictorial ideas are expressed through the technique that is congenial to each of the two artists, with no meddling, rather with harmonious blend. The deriving artistic crossover acts at different levels of interaction. The artwork of one is embraced into that of the other and the outcome of the meeting between ideas and emotions is experimented.
The two artists personify the linguistic fusion between knowledge and disciplines that is typical of visual arts. They instinctively follow the same path, which, albeit in different fashions, given cultural, temporal and evolutionary diversity, converges in pursuing the same intent and creating the same feelings. The pure artistic exercise overflows and moves forward, aiming at the connected world of communications.
The blend proposed by the two artists is quite interesting and leads to works truly captivating for openness and originality. Indeed we know that mutual influence continues to exist as a vital component of human life, is parts of his genesis and links past, present and future. Back in history, we find quite a few examples, as in the nineteen’s century literature and in many other artworks fruitfully profiting from interdisciplinary approaches. Symbolism and art often wander along alike roadways, oriental or occidental, even thousands of kilometers far away. The same forms and same symbols are found to represent the same reality, especially in instinctive and intuitive works that overcome distance and experience to end up into the perceptions of human mind and soul.
The two artists present their themes and ideas through a skillful utilization of forms and colors and the insertions of various materials. Our perception is touched by a multi-sensorial awareness and we begin a journey into the heart of the world, into the inner root of human being, the genuine one, that of the kid who is in us and who can understand and interpret the vital and joyful energy that surrounds us.
January 2017, Tiziana Todi
(From the brochure of the exhibition "Correspondences - Correspondences", Galleria Vittoria, Rome, March 2017)

                

Brochure della mostra come duo artistico "Corrispondenze", Galleria Vittoria, Roma, 2017


MANLIO TOMMASO GADDI

2016

Presentazione della mostra pubblicata sul giornale Archivio di settembre, n. 7:

"Le qualità associative e di invenzione di Renata Solimini sono attratte da una dimensione ludico-magica, con qualche retroterra metafisico, sulla quale ha sicuramente influito il carattere tutto particolare di alcuni artisti surreali in primis Mirò e Marc Chagall.
Una visione artistica, dunque, collocata nel vago, non come aderenza assoluta al soggetto, ma di questo intende salvarne emozione e sentimento comparando, fra di loro, la ragione e l’inconscio, il desiderio e l’esistenza, il sogno e l’oggetto. Solimini inserisce elementi metaforici che meglio affinano il linguaggio surrealista, ne approfondisce il mistero, per renderlo più trasparente, attraverso una luce che s’ingolfa in toni corruschi.
Prendono corpo e dimensioni appropriate, così, esiti di un’arte nata da esigenze legate ad un linguaggio pieno di connotazioni simboliche e fantastiche, di stravaganti coreografie del pensiero, che captano onde da anonime antenne, mentre cerca di approfondire la conoscenza dell’animo.
Ci sono artisti rari, anzi rarissimi, i quali hanno un occhio meraviglioso e misterioso. Sia che guardino, muovendo l’occhio in giro a 360°, fuori di sé nel flusso della natura o dell’esistenza sia che gettino lo scandaglio dentro di sé andando a spezzare desideri e sentimenti repressi, memorie ingombranti e sepolte e sogni che non hanno mai decollato per mancanza di libertà; questi artisti rari hanno il potere di innestare la vita nelle cose divenute inanimate, fossili, e di innestare stupore alle cose straordinariamente ordinarie che l’abitudine all’esistenza non fa notare. In più questi artisti rari passano attraverso il tragico della vita con un passo lieve e musicale facendo dono di sogni e visioni volanti, di scoperte primordiali e aurorali, restituendo a uomini, animali e cose la grazia del sorriso.
Perché l’operazione estetica di Renata Solimini trova fondamento e motivazione in una inquisizione della sfera dell’organico al fine di impostare un rinnovato rapporto fra coscienza e natura".


[English] The associative and invention qualities of Renata Solimini are attracted by a playful-magical dimension, with some metaphysical background, which has certainly been influenced by the very special character of some surreal artists, first and foremost Mirò and Marc Chagall.
An artistic vision, therefore, placed in the vague, not as absolute adherence to the subject, but of the latter it intends to save emotion and feeling by comparing the rationale and the unconscious, the desire and the existence, the dream and the object. Solimini includes metaphorical elements that better refine the surrealist language, deepens its mystery, to make it more transparent, through a light flooding itself in shimmering tones.
Thus, the results take shape and appropriate dimensions of an art born from needs related to a language full of symbolic and fantastic connotations, of extravagant choreographies of thought, which capture waves from anonymous antennas, while trying to deepen the knowledge of the soul. There are rare artists, very rare indeed, who have a wonderful and mysterious eye. Whether they look, moving their eyes 360 degrees around, outside themselves in the flow of nature or existence, or whether they fathom inside themselves, breaking restrained desires and feelings, cumbersome and buried memories and dreams that never took off due to lack of freedom; these rare artists have the power to create life into things that have become inanimate, fossils, and to create wonder in the extraordinarily ordinary things that the habit of existence does not show off anymore. Moreover, these rare artists pass through the tragic of life with a slight and musical walking, giving dreams and flying visions, primordial and auroral discoveries, giving back to men, animals and things the grace of a smile.
Because the aesthetic operation of Renata Solimini finds foundation and motivation in an investigation of the sphere of the organic in order to set up a renewed relationship between conscience and nature.


GIORGIO DI GENOVA 

2015

La gaia ittiologia di Renata Solimini

“Fermiamoci un momento ad osservare le creature più sviluppate tra quelle che vivono nell’acqua, i nostri antenati più remoti della serie dei Vertebrati: i Pesci”, così scriveva lo psicanalista ungherese Sandor Ferenczi in Maschio e femmina[1]. Quest’invito torna molto calzante in occasione di questa personale (la prima in assoluto) di Renata Solimini.
Quindi, fermiamoci ad osservare i nostri remoti antenati per meglio cogliere la varietà e il significato di queste “creature” partorite dalla fantasia di Renata. Se la loro varietà è ovviamente il frutto delle variazioni ideative ed esecutive della pittrice, il significato attiene non poco agli studi compiuti dalla Solimini e molto al suo io psico-esistenziale, tanto che potremmo dire che la sua ittiologia viene da molto lontano, temporalmente e culturalmente. Infatti le radici della sua pittura affondano nell’anno accademico di permanenza nella Repubblica Popolare Cinese (1992-1993), dove ha studiato sia i rudimenti della calligrafia e la pittura tradizionale con due maestri locali sia l’origine degli ideogrammi cinesi, approfondendone storicamente le concomitanze con altre antiche scritture in una ricerca coronata dalla tesi di laurea L’Occidente e la scrittura cinese: discussioni e teorie dal XVII secolo al principio del XX, corredata da numerosi esempi di ideogrammi e relative tavole comparate di ideogrammi cinesi, egiziani e sumerici, in cui è possibile spesso individuare i “semi” dei suoi dipinti.
Ciò ha determinato una sorta di cortocircuito nel suo Es, facendo riaffiorare dalla profondità della sua psiche sepolte memorie segniche e iconiche, che nel biennio 2010-11 ella ha fissato con una foga liberatoria, ricca di abbandoni non di rado automatistici, permeata di sfrenato sperimentalismo sia del suo temperamento grafico che cromatico, in cui, oltre a maschere, volti comici, in qualche caso simbolicamente autoreferenziali (soprattutto quelli con l’inserimento di occhiali veri), sovente affioravano segni ideogrammatici e preannunci di soggetti poi ripresi sistematicamente, come l’occhio ed in un caso anche il pesce, appunto, ambedue leit-motiv della sopravvenuta coazione a ripetere, che in genere diviene dominante allorché il tragitto creativo acquista una soddisfacente maturazione[2].
Per Renata Solimini si potrebbe dire che in principio era l’occhio. Infatti per un certo tempo, allorché ella era giunta a mettere a fuoco il suo fare, ogni sua opera aveva cominciato ad “occhieggiare”, nel senso che qualsiasi accumulazione di elementi, per lo più geometrici, facesse, all’interno di essa comparivano uno o più occhi. Nel 2013, allorché l’invitai al XL Premio Sulmona, al quale inviò la tela Eye’s Hell, per spiegare il  lavoro di Renata pensai utile riferirmi al concetto di espace du dedans,  notando che “il suo abbandonarsi alle grafie dettate dai propri impulsi inconsci ricorda, confermandone la verità, quanto ebbe a scrivere il poeta e pittore Henri Michaux riguardo quello che definiva l’espace du dedans: ‘Disegnate senza nessun proposito particolare, scarabocchiate meccanicamente: sulla carta compaiono quasi sempre dei volti’, confessando subito dopo: ‘Non appena prendo una matita, un pennello, me ne vengono sulla carta l’uno dopo l’altro dieci, quindici, venti. E selvaggi, per lo più’. Se i volti popolavano lo spazio interiore di Michaux, a popolare quello della Solimini sono gli occhi. Tuttavia a lei, quando disegna o dipinge meccanicamente, ad emergere sono uno o più occhi nell’intreccio del tessuto grafico o pittorico, che a differenza dell’artista franco-belga ha sempre un impianto ordinato spesso con soluzioni addirittura decorative, soprattutto nei disegni colorati”[3].
La forma dell’occhio e quella del pesce sono omologhe. Ciò ha facilitato il passaggio dal primo al secondo, introiettando in quest’ultimo quanto prima era fuori di esso e lo circondava, come ben attestano per un verso Fish Mix e per altro verso Tryptic of Fishes, composto da tre altri lavori di transizione, i quali hanno tutti un’orbita oculare, iperbolica nei primi due (Pisciform Cosmic Eye, Eight March Fish), e un po’ ridotta nel terzo (Double Fish), iniziando così il processo di riduzione che poi prosegue negli altri componenti dell’intera colonia ittica soliminiana, con una persistenza che si fa leit-motiv ed  in alcuni casi (e penso a Fish Origin ed a Chaos of Fishes) diviene proliferazione, giungendo a costellare l’intera composizione, ognuna delle quali sembra guardarci con i 2 occhi sistemati centralmente verso l’alto. 
Comunque l’introiezione non si limita all’occhio. Infatti nella struttura di ciascun pesce l’artista ha trasposto il suo sperimentalismo, non esente di tentazioni neodadaiste, facendolo divenire polpa connotativa, in qualche caso addirittura meccanica, com’è in Multimedia Fish, il cui corpo è formato da una rosa di CD e la coda da due scatolette vuote. Naturalmente lo scrutamento dell’espace du dedans è proseguito, coinvolgendo altri strati dell’io dell’artista. E non ultimo quello femminile, che assieme al regressus ab origine, attuato appunto da Renata con l’aver reso protagonisti dell’attuale discorso “i nostri antenati più remoti nella serie dei Vertebrati”, si propone indirettamente attraverso la descensus nel suo profondo io, per attuare con i pennelli nel “parco marino” della sua femminilità la ricca pesca, buona parte dei cui risultati sono qui esposti. E parlo di pesca nel “parco marino” della femminilità, perché ogni donna, come l’acume psicoanalitico di Ferenczi ci insegna, ha introiettato in sé l’oceano da cui è nata ogni forma di vita[4]. Sulla scorta della psicoanalisi si potrebbe quindi affermare che, mentre la pesca in genere si attua nel mare magnum, Renata Solimini invece la fa nel mare parvum del suo io, che ha esperito la maternità.
Naturalmente i pesci presi da Renata all’amo della sua pittura sono frutto della sua istintuale creatività. E da ciò derivano le fantasiose sembianze, che per la ricchezza dei colori potremmo definire tropicali. Infatti non c’è dubbio che essi provengono dalle profondità dei Tropici del suo immaginario, scandagliato in lungo e largo. Nelle immersioni sub nel proprio mare parvum l’attenzione della Solimini viene attirata dall’estrema varietà della fauna che lo popola. Ecco, allora, che il suo sguardo sorprende una coppia (si spera legale) che si bacia (Ti ho incontrato nell’inchiostro nero seppia), capta le danzanti giravolte dei pesci (Around the Light) ed un incontro ittico (Fish Meeting). Ma come succede a tutti i sub, spesso sono i singoli pesci ad attirare la loro attenzione. Altrettanto è per Renata. Così, mentre è attirata da quella sorta di ameba, che è Symmetric Fish, il cui nucleo contiene le due polarità energetiche dello Yin (nero) e dello Yang (bianco), detti anche “due pesci Yin e Yang”[5], o dalla geometrica squamatura di Fish Mix, che ha il suo piccolo contraltare nel disegno Geometric Fish, non le sfugge l’aspetto comico del roseo Dragon Fish e del tronfio Fish in Pink, quello mostruoso di Concentrated Fish, due connotati che uniti connotano Abyss Fish, dalla grande bocca e i sinuosi peduncoli bianchi, che ritornano nel consunto verde e rosso pesce-spazzola (Brush Fish).
La pittura della Solimini presenta vari registri espressivi, declinati talora circolarmente, com’è in Multimedia Fish, Blue Fish, Concentrated Fish, nonché in Attractive Fish, al cui centro è come coricata una medusa, altro inquilino del suo mare parvum, non trascurato da Renata, come è attestato da Medusa, tra i cui statici tentacoli si agitano peduncoli filamentosi, senza dubbio in attesa di farsi grandi, come sembrerebbero confermare gli omologhi di Ocular Medusa, tutta ritmi ondulati anche nella parte superiore, che termina con un occhio, come a voler ricordare il motivo che ha preceduto la presente stagione ittica.
Medusa è accompagnata in alto a sinistra da lontano da una piccola stella marina. Tale presenza è importante per la Solimini, dato che sia le meduse che le stelle marine sono per lei riferimenti al femminile (Yin) controbilancianti il maschile (Yang) dei pesci. Per questo motivo ella non solo ripete, seppur in posizioni diverse, questa micropresenza in altri lavori, quali Pencil Fish, Shell Fish, Fish in Pink, Magnetic Fish, Ti ho incontrato nell’inchiostro nero seppia e Kissing the Black Moon, ma le dedica un primo piano (Starfish), alla stessa stregua della medusa.
Sono convinto che, dopo esservi soffermati a osservare ed ammirare questa gaia fauna del personale “parco marino” di Renata Solimini, ognuno è pronto per crearsi idealmente il proprio acquario, scegliendo i pesci che più gradisce. Per quanto mi riguarda io l’ho già fatto. Pertanto resto in attesa di poter nel prossimo futuro arricchirlo con alcuni nuovi esemplari. 
(Dal Catalogo della mostra personale La Gaia Ittiologia, Galleria Vittoria, via Margutta, Roma, settembre-ottobre 2015)


[1] Cfr. S. Ferenczi, Maschio e femmina, in Thalassa. Psicoanalisi delle origini della vita sessuale, Astrolabio, Roma, 1965, p. 120.
[2] E’ quanto è accaduto, per fare alcuni esempi, a Piet Mondrian, una volta approdato al Neoplasticismo, a Giorgio Morandi, dacché rese protagoniste bottiglie e altri oggetti delle sue Nature morte, a Giuseppe Capogrossi col suo segnismo avviato nel 1950, accorpando due A ad una sovrastante D, ed a Andy Warhol nelle sue serie dello stesso soggetto (sedia elettrica, incidenti d’auto, Brillo, ecc.), nonché delle iterazioni di volti di personaggi noti, di dollari, di fiori, di barattoli di soup.
[3] Cfr. il mio testo Il Premio Sulmona compie 40 anni, in XL Premio Sulmona, Polo Museale Civico Diocesano, Sulmona, 7 settembre-5 ottobre 2013, s.i.pp. Proseguendo, osservavo: “Eye’s Hell, in cui un solo inquietante occhio buca letteralmente l’atmosfera formata dalla multicolore sovrapposizione di aculei, viene al seguito di Eye in the Sky Last e Eyes Dance, in cui gli occhi erano molteplici”.
[4] Nel capitolo Regressione thalassale del suo citato volume Ferenczi considera la “ipotesi che vuole che il liquido amniotico rappresenti l’oceano ‘introiettato’ nel corpo materno, nel quale, come afferma l’embriologo R. Hertwig, ‘il debole e fragile embrione si bagna e si muove come il pesce nell’acqua” (cfr. S. Ferenczi, Thalassa, op. cit., pp. 75-76).
[5] Tale combinazione di femminile e maschile è allusa con la coppia di Ti ho incontrato nell’inchiostro nero seppia. 


[English extract]...As regards to Renata Solimini, one could say that in the beginning it was the eye. In fact, for a certain time, when she had come to focus on her work, each of her works had begun to "ogle", in the sense that she made one or more eyes within any cluster of mostly geometric elements. In 2013, when I invited her to the XL Sulmona Prize, participating with the painting Eye's Hell, in order to better explain Renata's work I thought to refer to the concept of espace du dedans, noting that "her abandoning herself to the writings directed by her own unconscious impulses, recalls, confirming the truth, what the poet and painter Henri Michaux wrote about the espace du dedans: ‘Draw without any particular purpose, scribble mechanically: there are faces almost always appearing on the paper', confessing immediately after: 'As soon as I take a pencil, a brush, ten, fifteen, twenty faces appear on paper one after the other. And they are wild, for the most part’. If the faces populated the inner space of Michaux, the eyes populated the inner space of Solimini. However, when she draws or paints mechanically, one or more eyes emerge in the interweaving of the graphic or pictorial fabric, which, unlike the Franco-Belgian artist, always has an ordered array often with even decorative solutions, especially in the coloured drawings ".
The shape of the eye and that of the fish are similar…
However, introjection is not limited to the eye. In fact, the artist has transposed her experimentalism in the structure of each fish she made, not exempted from neodadaist attempts, making it become a connotative pulp, in some cases even mechanical, as it is in Multimedia Fish, whose body is formed by a rose of CDs and the tail by two empty boxes. Naturally the scrutiny of the espace du dedans continued, involving other layers of the artist's ego.
And last but not least the feminine ego, which together with the regressus ab origine, carried out by Renata by making the protagonists of the current speech as "our most remote ancestors in the Vertebrates series", indirectly proposes itself through the descensus in its deep self, in order to do the rich fishing with the brushes in the "marine park" of his femininity, a good part of whose results are shown here.
And I talk about fishing in the "marine park" of femininity, because every woman, like the Ferenczi's psychoanalytic insight teaches us, has introjected the ocean from which all life was originated. On the basis of psychoanalysis it could therefore be affirmed that, while fishing in general takes place in the mare magnum, Renata Solimini instead does it in the mare parvum of her ego, who has experienced motherhood…


2013

Per quanto attiene a Renata Solimini, il suo abbandonarsi alle grafie dettate dai propri impulsi inconsci ricorda quanto scrisse il poeta e pittore segnico Henri Michaux riguardo a quello che definiva l'espace du dedans: “Disegnate senza nessun proposito particolare, scarabocchiate meccanicamente: sulla carta compaiono quasi sempre dei volti”, confessando subito dopo: “Non appena prendo in mano una matita, un pennello, me ne vengono sulla carta l'uno dopo l'altro dieci, quindici, venti. E selvaggi per lo più”. Se i volti popolavano lo spazio interiore di Michaux, a popolare quello di Solimini sono gli occhi. Tuttavia, quando lei disegna o dipinge meccanicamente, ad emergere sono uno o più occhi nell'intreccio del tessuto grafico o pittorico, che a differenza dell'artista franco-belga ha sempre un impianto ordinato spesso con soluzioni addirittura decorative, soprattutto nei disegni colorati. Eye's Hell, in cui un solo inquietante occhio buca letteralmente l'atmosfera formata dalla multicolore sovrapposizione di aculei, viene al seguito di Eyes Dance e Eye in the sky, in cui gli occhi erano molteplici.
(Dal catalogo del 40° Premio Sulmona, settembre 2013)


Premio Sulmona 2013, a sinistra con Gaetano Pallozzi, a destra con Giorgio Di Genova

Commento sul catalogo a cura di Giorgio Di Genova



ROBERTO CODINI 

2011 

Non c’è premeditazione, non c’è calcolo, il quadro non è per qualcuno, ma con qualcuno, non è un fine ma un mezzo, un ponte che attraversa un fiume in piena. Il percorso di Solimini è quasi hegeliano, come la triplicità dello spirito. In Hegel la cosa in sé diviene fuori di sé e conclude il suo percorso in sé e per sé, giungendo allo Spirito Assoluto.
A differenza di Hegel, però, quello di Renata non è un percorso compiuto, ma è solo una tappa, la tensione non è svanita ma arde sotto la cenere, in una continua evoluzione materiale e spirituale. Per questo i quadri non sono mai realmente finiti, ma piuttosto in – finiti: coesistono armonicamente – ma anche drammaticamente – razionalità e passionalità, materialità e spiritualità, finito ed infinito.
L’arte ha una funzione salvifica, salva la vita come in Otto e mezzo di Fellini. I colori sono passione pura (vengono in mente i film di Almòdovar, con una predominante del rosso), e gli elementi pittorici si fondono in modo solo apparentemente casuale ma in realtà logico, anche se non di una logica predeterminata e statica ma creativa e dinamica, che si costruisce facendosi… 
La ricerca continua. Il viaggio dell’arte è il viaggio della vita.
(Dal pieghevole della mostra bipersonale, Associazione Culturale Il Laboratorio, Trastevere, Roma, ottobre 2011)


[English] There is no premeditation, there is no calculus, the painting is not for someone, but with someone, it is not an end but a means, a bridge that crosses a river in flood. Solimini's path is almost Hegelian, like the triplicity of the spirit. In Hegel the thing itself turns out of itself and concludes its path in and for itself, reaching the Absolute Spirit.
Unlike Hegel, however, that of Renata is not a completed path, but is only a stage, the tension has not vanished but burns under the ashes, in a continuous material and spiritual evolution. For this reason the paintings are never really finished, but rather unfinished: in them coexist harmoniously - but also dramatically - rationality and passion, materiality and spirituality, finite and infinite.
Art has a saving function, it saves life as in Fellini's Otto e mezzo. Colours are pure passion (Almòdovar's movies come to mind, with a predominant red colour), and the pictorial elements merge in a manner which is only apparently casual but in reality it is logical, even if it is not a predetermined and static logic, but conversely it is creative and dynamic, created by itself... The research continues. The path of art is the path of life.


Brochure della mostra personale a Trastevere, Roma (2011)

 
GIORGIO SERAFINI PROSPERI 

1998

Il percorso pittorico di Renata Solimini trae forma dalla scrittura, o - meglio - dalle suggestioni fornite dalla scomposizione del segno: dalle sue innumerevoli semplificazioni/reiterazioni. Il tratto è infatti per lei un fenomeno catalizzante capace di sprigionare esso stesso l'energia necessaria all'espressione artistica, attraverso una funzione che potrebbe definirsi evocativa.
Il rapporto della Solimini con la tela pare infatti essere quello della continua ricerca di uno stile che sappia essere sia dinamico, sia radicato in un substrato di conoscenze che alimentino la fonte della sua ispirazione. Il contatto con la lingua cinese in particolare, derivato dalla sua formazione universitaria, assume, nell'analisi del suo lavoro, un aspetto determinante. Renata ama partire dai caratteri più semplici della scrittura cinese, per trovare, attraverso delle accelerazioni dinamico-cromatiche, la sua forza espressiva, che vede nella estemporaneità del movimento figurato la caratteristica più interessante.
Le nuove fasi del suo lavoro, ad ogni modo, paiono superare la tecnica classica della pittura: la Solimini cerca un rapporto più diretto e fisico con al materia. Il segno, però, non abbandona la sua fantasia: in essa si amplifica, fino a giungere a quella che potrebbe definirsi una "dialettica del segno", ponendo quest'ultimo non più in una posizione dogmatica, immutabile, bensì quasi in un'area conflittuale, eversiva.
Ecco dunque affacciarsi le forme. Solidi geometrici di derivazione quotidiana (scatole, soprattutto) cominciamo ad "inquinare" il panorama di una pittura che si rimproverava la propria staticità. Dall'incontro di questi elemnti disturbanti con l'energia - ora immaginifica - della scrittura orientale si genera la fase ultima del lavoro di Renata Solimini. Dapprima, nei primi tentativi del genere, i mondi sembrano studiarsi, in un connubio quasi decorativo, oggettivando di fatto la propria incompatibilità; poi iniziano a fondersi, trovando spunti dinamici nelle diverse dimensioni dello spazio.
Nelle ultime composizioni l'equilibrio delle forme è certamente ristabilito grazie anche ad un uso del colore più attento, meno selvaggio. Restano sempre le contrapposizioni forti di tinte assolute, tipiche dello stile della Solimini, tuttavia vengono temperate da accostamenti più sapienti, da giustapposizioni cromatiche finalmente integrate nell'impianto anche concettuale della tela. 
La sensazione dominante al cospetto di un'opera di Renata Solimini è quella di un'esperienza in fieri, che fa però della labilità il suo maggiore punto di forza, in una sintesi tra l'essere sperimentale e la ricerca continua, metodica, di un proprio paradigma di riferimento, testimonianza di un'inquietudine creativa che va temperandosi vieppiù in personalità d'autore.

[English extract]...Renata's painting is a soul painting, but not in an expressionist sense; I would rather say, using a paradox, that her style is a kind of naturalist abstractionism, in which the particular, the ordinary, takes the form of the mind, and in this case with tangible, concrete geometric clarity, but then immediately turns into something else, in a hotbed of multiple disquiets: the result of overlaps, stratifications, and continuous re-mixes. … The dominant sensation in front of a work of Renata Solimini is a feeling of an experience in fieri, which however makes lability its greatest strength, in a synthesis between being experimental and the continuous, methodical research of her own paradigm of reference, testimony of a creative restlessness that is becoming more and more strengthened personality of author.


1997

Conosco Renata Solimini da ormai molti anni, siamo stati anche compagni di scuola, ed in lei mi sono sempre apparsi chiari i segni di una vocazione pittorica. Ancora adesso ho in mente i suoi schizzi rapidi, distratti, lasciati su chissà quale diario, o su un qualunque foglio quadrettato.
Tratti, segni lasciati a penna, ma indici – ora a posteriori – di un percorso già allora coerente.
Bastava, anche allora, soffermarsi a guardare la sua firma, già non più elementare, eppure assolutamente non adulta, sospesa in un limbo di curve morbide che ne facevano apparire al primo sguardo sicurezza e grazia estetica.
La pittura di Renata parte infatti dalla grafica, dalla scrittura, rendendo di per sé significante la stessa semantica della calligrafia. I suoi quadri sono per me soprattutto incontri di linee, leggibili, che tagliano gli spazi, e li ordinano, con la coerenza della scrittura. È anzi la scrittura stessa, su carta o su tela, a prendere forme nuove e a cercare un nuovo stato: da semplice segno a messaggio chiaro, definito, compiuto.
Grande importanza nella formazione di Renata ha avuto lo studio della lingua cinese per un anno accademico in Cina. Quell’esperienza ha risvegliato in lei l’esigenza di comunicare attraverso un nuovo mondo di forme nel quale – non è un caso – grafia e immagine tornano, in qualche senso a coincidere. Nascono così i suoi primi esperimenti di una fase largamente influenzata dalle suggestioni dei caratteri cinesi. Non solo: di questa fase fanno parte anche un buon numero di quadri che al mondo orientale non solo si ispirano, ma lo reinterpretano, utilizzandone forme e immagini guida.
Ad un secondo periodo appartiene il primo compiuto superamento di una pittura quasi esclusivamente grafica. In questo modo il segno diviene disegno, utilizzando la propulsione della sua stessa dinamica interna.
Il movimento delle linee, la loro estrema inquietudine, il loro tendere all’incontro ed il loro assoggettarvisi malvolentieri, sono alcuni degli elementi di questo secondo blocco della produzione di Renata. In essi si avverte già, oltre al moto, una chiara pulsione verso il colore, che va progressivamente ad accendersi, e lo spazio.
Le figure, infatti, e qui si arriva ai suoi ultimi lavori, paiono ristrette nel piano cui sono naturalmente adagiate, e cercano un punto di fuga, uno sfondamento spaziale. Ovviamente resta in lei dominante l’essenza di una pittura “scritta”, e come specchio di questa tendenza non può sfuggire il continuo reiterarsi degli elementi orientali: che ora però hanno un manifesto valore simbolico.
L’attitudine all’espansione delle figure dei suoi ultimi quadri apre la strada ad un approccio sempre più materico, in una sovrapposizione di tecniche che lascia presagire nuovi, prevedibili sviluppi in tale direzione.
Altra notazione doverosa è quella inerente all’uso del colore, che è in molti casi determinante. Sia negli acquerelli, che nelle tele, che nei disegni, il colore è soprattutto una linea di demarcazione, anche nei rari casi di una sua quasi totale assenza.
Yin e Yang, opposizioni dialettiche di energia, campeggiano spesso, nelle sue composizioni, sia  a livello ideale che visivo, rendendo così chiaro il concetto di una coloritura usata soprattutto come contrasto, talvolta estremo.
La pittura di Renata è una pittura dell’anima, ma non in senso espressionista; direi piuttosto che il suo, usando un paradosso, è una sorta di astrattismo naturalista, nel quale il particolare, l’ordinario, prende la forma della mente, ed in questo caso con chiarezza geometrica, tangibile, concreta, ma per poi subito diventare altro, in un focolaio di molteplici inquietudini: il risultato di sovrapposizioni, stratificazioni, e continui reimpasti.
Un tempo, la pittura di Renata Solimini era fin troppo piena di elementi di conflagrazione; ora la sua ispirazione pare aver trovato anche delle necessità che travalicano gli stati d’animo dell’autrice. In alcuni casi ci si trova di fronte a dei quadri che non fatichiamo a definire di studio: non perché non siano compiuti, ma certo perché sono il frutto di una consapevolezza artistica radicata almeno quanto faticosamente conquistata. 
(Dal pieghevole della Mostra “Cina e Colori”, Chiesa degli Artisti, Roma, aprile-maggio 1997)



Brochure della mostra personale alla Chiesa degli Artisti, Roma (1997)


Mostra nella Sacrestia Chiesa degli Artisti, Piazza del Popolo, Roma (1997)