2020 - Manlio Tommaso Gaddi (monografia Infinite donne ed altri universi 2020)
2020 - Sabina Caligiani (personale Infinite donne 2020)
2019 - Tiziana Todi (personale Infinita Donna 2019)
2017 - Tiziana Todi (personale Corrispondenze)
2016 - Manlio Tommaso Gaddi (vedi pagina Personali 2015-2020)
2015 - Giorgio Di Genova (personale La Gaia Ittiologia)
2013 - Giorgio Di Genova (40° Premio Sulmona)
2011 - Roberto Codini (personale congiunta, Roma)
1998 - Giorgio Serafini Prosperi (seguito del testo del 1997)
1997 - Giorgio Serafini Prosperi (testo della 1° mostra personale, Roma)
In uno straordinario saggio del 1981 dedicato a Julio González – Quest’arte nuova: disegnare nello spazio– Rosalind Krauss individua la genesi dei disegni realizzati a partire dal 1932 dall’artista spagnolo nell’antica pratica del riconoscere e proiettare figure nelle costellazioni, in quegli impertinenti disegni tracciati o suggeriti dalle stelle sempre così indifferenti nei confronti dell’aspetto reale delle cose. Come sostiene la studiosa, «disegnare con le stelle è, letteralmente, costellare, cioè impiegare una tecnica che non è né mimetica né astratta». Disegna le stelle, con le stelle e nelle stelle Renata Solimini: costruisce-inventa-sogna universi pulsanti, cinetici e vorticosi dove vengono accostati spazi e tempi diversi (Osservo il giorno e la notte, la luce e il buio è il titolo di una delle opere contenuta nella sezione Moda del presente volume), come dei pluriversi in cui le cose esistono, coesistono e accadono simultaneamente. Una cosmografia di-segni la cui forza sembra trasferirsi direttamente dal cosmo alla mano dell’artista, in quel ductus (o tratto) che, come scrive Roland Barthes nel saggio dedicato a Cy Twombly, «rinvia sempre a una forza, a una direzione: è un energon, un lavoro, che invita a leggere la traccia della sua pulsione», del suo desiderio. Ed è un desiderio paradossale quello di Renata Solimini, un desiderio che nega il suo stesso etimo (laddove de-sidera significa letteralmente “assenza-mancanza di stelle”) e, anzi, lo inverte, lo sovverte, lo rivoluziona sovrapponendo così il duplice significato di quest’ultimo termine che, come ci ricorda Hannah Arendt nel celebre saggio del 1963 – Sulla rivoluzione– solo nell’epoca moderna ha assunto il significato di “movimento sovversivo”, ma nella significazione primigenia indicava invece il moto circolare, perpetuo degli astri.
I pluriversi di Renata Solimini sono abitati da costellazioni di segni di diversa gradazione o densità semantica: accanto ai simboli iper-codificati e iper-riconoscibili come quegli UFO che compaiono, ad esempio, in Attacco dal Cor-UFO o in Cor-UFO Magican (e qui parlo di simbolo nel senso junghiano, ovvero quel segno che travalica il significato immediato e, appunto, si fa “mediatore” tra inconscio e sfera cosciente – non a caso lo psichiatra aveva dedicato diversi studi al fenomeno ufologico avanzando l’ipotesi che si trattasse di una proiezione dell’inconscio collettivo la cui forma archetipica rimanderebbe a quella del mandala intersecando, così, la matrice orientale di cui sono pervasi i lavori di Solimini) e la presenza della scrittura alfabetica, le opere sono costantemente attraversate dalla cosiddetta scrittura asemica. Quest’ultima, che da sempre ha esercitato sulla sottoscritta un enorme fascino dato dalla convergenza di letteratura, arte e musica (manganellianamente intesa come linguaggio libero dal “fardello del significato”), e che nella tradizione artistica occidentale conta su antecedenti illustri quali il surrealista Andrè Masson (la cui semigrafia interseca la tecnica della cosiddetta scrittura “automatica” alle suggestioni provenienti dal calligrafismo orientale), fino al grafismo “allusivo” di Cy Twombly dove, come scrive ancora Roland Barthes, il gesto incarna (ossia si fa letteralmente “corpo”) «la somma indeterminata e inesauribile delle ragioni, delle pulsioni, delle inoperosità che circondano l’atto di un’atmosfera (nella sua accezione astronomica)». Tutti assunti che potrebbe essere ascritti anche all’elaborazione asemica di Solimini e la sua creazione di “spazi” inter-testuali, dove convivono, uno a fianco all’altro, diverse tipologie di testo che ci consentono di «viaggiare uno spazio culturale che è aperto, senza limiti, senza compartimenti»– come scrive il semiologo francese a proposito del succitato Masson– precipitandoci in un “territorio magico” in cui ogni segno (o Lettera, secondo Barthes), «è il punto di inizio di una imagerie vasta come una cosmografia».
Quello
“spazio culturale aperto e senza limiti” di cui parla Barthes ha come
inevitabile esito il cosiddetto pastiche tipicamente postmodernista
e, in effetti, se dovessimo dare una collocazione ai lavori di Renata Solimini,
stabilire che posizione occupi nell’universo artistico (d’altronde, sempre
Barthes ci ricorda che «per essere conosciuti, gli artisti devono attraversare
un piccolo purgatorio mitologico: è necessario che si possa associarli
meccanicamente a un oggetto, a una scuola […] in una parola, che si possa classificarli»),
pur consapevoli della parzialità e sterilità di questa operazione classificatoria,
mi sembra innegabile una certa assonanza con il linguaggio postmoderno. Quel
modo di accostare elementi eterogenei, di affastellare frammenti di senso e di
mondo (visibile e non) su una superficie che sembra poter accogliere e
rimandare a tutto, appartiene a quella strategia allegorica –o, “impulso”, come
lo chiama Craig Owens– che permea il linguaggio artistico a partire dagli anni Ottanta
del secolo scorso: numerose sono, ad esempio, le citazioni presenti nelle sue
opere (riconoscibilissime quelle che rinviano formalmente a Mondrian, Chagall,
Klee, Kandinskij); citazione che è strumento allegorico per antonomasia con il
suo “rinviare a” (etimologicamente il “parlare altro”), rimandare a un “fuori”
da sé, a un “altro” o “altrove” che, allo steso tempo, si fa sostanza
ontologica. L’accostamento di elementi figurativi e astratti ci porta invece
nel territorio del realismo magico – da intendere sempre come
“sottocategoria” del postmoderno– e la sua intersezione con il linguaggio
surrealista e quello della letteratura fantastica. Di quest’ultima
conserva soprattutto quel senso di esitazione di cui parla Tzvetan
Todorov ne La letteratura fantastica, che consiste in quella sensazione di
indecidibilità tra molteplici e/o possibili letture del testo: insomma, siamo
nel territorio del realismo o in quello, meraviglioso, della magia? Devo
leggere o guardare? Parafrasando Gastone Novelli e il suo fondamentale Pittura
procedente da segni (1964), tutti quei segni, lettere, volti, colori,
frammenti, materiali, appartengono allo stesso titolo al medesimo, personale
pluriverso di Solimini; un pluriverso di-segni unico e magico dove, per dirla
con Novelli, «tutti gli universi sono possibili». (dalla Monografia Magia, Fiabe e Moda a cura di Manlio. T. Gaddi, 2021)
2020
Esplorando il cosmo di Renata Solimini
Caratteristica peculiare dell’opera d’arte è di permettere a chi ne usufruisce di poterla valutare, assaporare in una parola viverla sulla base delle sue conoscenze e competenze. E perché no anche del momento particolare in cui questo si avvera: la Nona di Beethoven è allegra o triste? Personalmente l’ho ascoltata ricavandone in momenti e situazioni diverse entrambe le suggestioni.
(dalla Monografia Infinite donne e altri universi a cura di Manlio. T. Gaddi, 2020)
[1] Planet of the adventure di Jack Vance del 1970. In italiano Pianeta Tschai in Biblioteca di Urania n.1, Mondadori, 1978
[3] Film del 1968, regia di Stanley Kubrick, dal racconto La sentinella di A.C. Clarke
[4] Film del 1982, regia di Ridley Scott, tratto dal romanzo Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick
[5] Vedi La gaia ittiologia di Renata Solimini di Giorgio Di Genova, in Renata Solimini di Manlio Gaddi, Prinp Editore, 2016 ISBN 978-88-99743-09-3, pagg.103-133
[6] Film del 1994, regia di Roland Emmerich
[7] Film del 1968, regia di Roger Vadim, con Jane Fonda e Ugo Tognazzi.
[8] Sentinella (Sentry) è un racconto di fantascienza di Fredric Brown del 1954. È considerato un classico della fantascienza ed è apparso in numerose antologie, pubblicato la prima volta in Italia nel 1955 con il titolo Avamposto sul pianeta X.
Trama
Il protagonista è un soldato impegnato in una guerra interplanetaria contro una specie aliena, l'unica altra razza intelligente della propria galassia, che si trova su uno sperduto pianeta, a cinquantamila anni luce da casa. La fazione nemica è assai ostile e crudele tanto che non tentò mai di trovare un accordo pacifico neanche al loro primo contatto. Egli sta sorvegliando la sua posizione in trincea e soffre per la lontananza da casa, per le privazioni causate dalla guerra e per l'ambiente ostile: è bagnato fradicio, è coperto di fango, ha freddo e fame, fatica a muoversi in quanto la gravità è doppia di quella del suo pianeta, l'ambiente è illuminato da una stella con una gelida luce blu e spazzato da un forte vento. Come tutti i soldati di tutte le guerre, tende a considerare più fortunati i militi delle altre forze armate, concedendosi un moto d'invidia per "quelli dell'aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi". Improvvisamente il protagonista vede uno dei nemici che sta tentando di avvicinarsi, allora prende la mira con il fucile, fa fuoco e lo uccide.
Il racconto è narrato in modo da spingere il lettore a identificarsi con il protagonista. Nelle ultime frasi, però, avviene il colpo di scena, perché il soldato, descrivendo con disgusto l'aspetto "troppo schifoso" del nemico ucciso, lo definisce "con solo due braccia e due gambe, quella pelle di un bianco nauseante e senza squame": il lettore si rende conto che, in realtà, ha letto il racconto di un soldato alieno che ha appena ucciso un essere umano.
MANLIO TOMMASO GADDI
2020
L'Occhio
“Gli occhi sono probabilmente l’organo sensoriale simbolico più importante. Possono rappresentare la chiaroveggenza, l’onniscienza e/o una porta nell’anima. Altre qualità a cui gli occhi sono comunemente associati sono: intelligenza, luce, vigilanza, coscienza morale e verità. Guardare qualcuno negli occhi è un’usanza occidentale che suggerisce onestà. Detto questo, coprirsi gli occhi, indossare occhiali da sole, ecc. Può significare mistero, non vedere completamente la verità o l’inganno. L’occhio spesso significa giudizio e autorità.” Dictionary of Symbolism, Università del Michigan.
SABINA CALIGIANI
2020
[English] The show “Infinity woman 2020” born from the creative flair of the painter Renata Solimini appears as a great mosaic of which time and history have set pieces with a myriad of female images, all very different for eras, cultures, natures and vocations. The artist intends to recognize the existence of a genealogy of women, making a long journey through time, retracing history and entering into archaic cultures. Thus ancient goddesses, legendary and biblical figures, of which there is still a trace in the collective memory, re-emerge from the myth together with women who, over the centuries, up to the present day, have left an indelible mark in culture, in science, in the art and spirituality and all acquire a modernity in the present and project themselves into the future. However, the poetics of Renata Solimini is not simply the exclusive exaltation of the power of the feminine, but recognition of the value of the masculine and of the duality of gender through the representation of famous couples in the fields of culture, science and art. A refined pictorial technique, inspired by his studies and research on ancient oriental writings, gives lightness to the complexity of the contents exalting the richness of the symbolisms.
ANDREA UNGHERI
2019
Il turbinio cromo-quantistico nelle pennellate di Renata Solimini
(Dal catalogo della Mostra Infinita Donna, Galleria Vittoria, Roma, giugno 2019)
“Our imagination is stretched to the utmost, not as in fiction, to imagine things which are not really there, but just to comprehend those things which are there” Richard P. Feynman
(From the catalog of the exhibition "Infinity Woman", Galleria Vittoria, Rome, June 2019)
TIZIANA TODI
2019
Infinita Donna di Renata Solimini
Saffo, VII sec. a.C.
Since over one year myself and Renata Solimini have discoursed on the feminine universe, on relevance of women in human history.
2017
Corrispondenze di Renata Solimini e Moan Lisa (Mark Rossmiller)
The Roman Renata Solimini and the American Moan Lisa (Mark Rossmiller) have achieved a series of four-handed paintings, in which they accomplish the fundamental processes of perceiving reality and interpreting it. The pictorial ideas are expressed through the technique that is congenial to each of the two artists, with no meddling, rather with harmonious blend. The deriving artistic crossover acts at different levels of interaction. The artwork of one is embraced into that of the other and the outcome of the meeting between ideas and emotions is experimented.
The two artists personify the linguistic fusion between knowledge and disciplines that is typical of visual arts. They instinctively follow the same path, which, albeit in different fashions, given cultural, temporal and evolutionary diversity, converges in pursuing the same intent and creating the same feelings. The pure artistic exercise overflows and moves forward, aiming at the connected world of communications.
The blend proposed by the two artists is quite interesting and leads to works truly captivating for openness and originality. Indeed we know that mutual influence continues to exist as a vital component of human life, is parts of his genesis and links past, present and future. Back in history, we find quite a few examples, as in the nineteen’s century literature and in many other artworks fruitfully profiting from interdisciplinary approaches. Symbolism and art often wander along alike roadways, oriental or occidental, even thousands of kilometers far away. The same forms and same symbols are found to represent the same reality, especially in instinctive and intuitive works that overcome distance and experience to end up into the perceptions of human mind and soul.
The two artists present their themes and ideas through a skillful utilization of forms and colors and the insertions of various materials. Our perception is touched by a multi-sensorial awareness and we begin a journey into the heart of the world, into the inner root of human being, the genuine one, that of the kid who is in us and who can understand and interpret the vital and joyful energy that surrounds us.
(From the brochure of the exhibition "Correspondences - Correspondences", Galleria Vittoria, Rome, March 2017)
Brochure della mostra come duo artistico "Corrispondenze", Galleria Vittoria, Roma, 2017 |
MANLIO TOMMASO GADDI
2016
Presentazione della mostra pubblicata sul giornale Archivio di settembre, n. 7:
An artistic vision, therefore, placed in the vague, not as absolute adherence to the subject, but of the latter it intends to save emotion and feeling by comparing the rationale and the unconscious, the desire and the existence, the dream and the object. Solimini includes metaphorical elements that better refine the surrealist language, deepens its mystery, to make it more transparent, through a light flooding itself in shimmering tones.
Thus, the results take shape and appropriate dimensions of an art born from needs related to a language full of symbolic and fantastic connotations, of extravagant choreographies of thought, which capture waves from anonymous antennas, while trying to deepen the knowledge of the soul. There are rare artists, very rare indeed, who have a wonderful and mysterious eye. Whether they look, moving their eyes 360 degrees around, outside themselves in the flow of nature or existence, or whether they fathom inside themselves, breaking restrained desires and feelings, cumbersome and buried memories and dreams that never took off due to lack of freedom; these rare artists have the power to create life into things that have become inanimate, fossils, and to create wonder in the extraordinarily ordinary things that the habit of existence does not show off anymore. Moreover, these rare artists pass through the tragic of life with a slight and musical walking, giving dreams and flying visions, primordial and auroral discoveries, giving back to men, animals and things the grace of a smile.
Because the aesthetic operation of Renata Solimini finds foundation and motivation in an investigation of the sphere of the organic in order to set up a renewed relationship between conscience and nature.
GIORGIO DI GENOVA
2015
La gaia ittiologia di Renata Solimini
(Dal Catalogo della mostra personale La Gaia Ittiologia, Galleria Vittoria, via Margutta, Roma, settembre-ottobre 2015)
2013
Per quanto attiene a Renata Solimini, il suo abbandonarsi alle grafie dettate dai propri impulsi inconsci ricorda quanto scrisse il poeta e pittore segnico Henri Michaux riguardo a quello che definiva l'espace du dedans: “Disegnate senza nessun proposito particolare, scarabocchiate meccanicamente: sulla carta compaiono quasi sempre dei volti”, confessando subito dopo: “Non appena prendo in mano una matita, un pennello, me ne vengono sulla carta l'uno dopo l'altro dieci, quindici, venti. E selvaggi per lo più”. Se i volti popolavano lo spazio interiore di Michaux, a popolare quello di Solimini sono gli occhi. Tuttavia, quando lei disegna o dipinge meccanicamente, ad emergere sono uno o più occhi nell'intreccio del tessuto grafico o pittorico, che a differenza dell'artista franco-belga ha sempre un impianto ordinato spesso con soluzioni addirittura decorative, soprattutto nei disegni colorati. Eye's Hell, in cui un solo inquietante occhio buca letteralmente l'atmosfera formata dalla multicolore sovrapposizione di aculei, viene al seguito di Eyes Dance e Eye in the sky, in cui gli occhi erano molteplici.
Premio Sulmona 2013, a sinistra con Gaetano Pallozzi, a destra con Giorgio Di Genova |
Commento sul catalogo a cura di Giorgio Di Genova |
ROBERTO CODINI
2011
Non c’è premeditazione, non c’è calcolo, il quadro non è per qualcuno, ma con qualcuno, non è un fine ma un mezzo, un ponte che attraversa un fiume in piena. Il percorso di Solimini è quasi hegeliano, come la triplicità dello spirito. In Hegel la cosa in sé diviene fuori di sé e conclude il suo percorso in sé e per sé, giungendo allo Spirito Assoluto.
La ricerca continua. Il viaggio dell’arte è il viaggio della vita.
Unlike Hegel, however, that of Renata is not a completed path, but is only a stage, the tension has not vanished but burns under the ashes, in a continuous material and spiritual evolution. For this reason the paintings are never really finished, but rather unfinished: in them coexist harmoniously - but also dramatically - rationality and passion, materiality and spirituality, finite and infinite.
Brochure della mostra personale a Trastevere, Roma (2011) |
1998
Il percorso pittorico di Renata Solimini trae forma dalla scrittura, o - meglio - dalle suggestioni fornite dalla scomposizione del segno: dalle sue innumerevoli semplificazioni/reiterazioni. Il tratto è infatti per lei un fenomeno catalizzante capace di sprigionare esso stesso l'energia necessaria all'espressione artistica, attraverso una funzione che potrebbe definirsi evocativa.
Il rapporto della Solimini con la tela pare infatti essere quello della continua ricerca di uno stile che sappia essere sia dinamico, sia radicato in un substrato di conoscenze che alimentino la fonte della sua ispirazione. Il contatto con la lingua cinese in particolare, derivato dalla sua formazione universitaria, assume, nell'analisi del suo lavoro, un aspetto determinante. Renata ama partire dai caratteri più semplici della scrittura cinese, per trovare, attraverso delle accelerazioni dinamico-cromatiche, la sua forza espressiva, che vede nella estemporaneità del movimento figurato la caratteristica più interessante.
Le nuove fasi del suo lavoro, ad ogni modo, paiono superare la tecnica classica della pittura: la Solimini cerca un rapporto più diretto e fisico con al materia. Il segno, però, non abbandona la sua fantasia: in essa si amplifica, fino a giungere a quella che potrebbe definirsi una "dialettica del segno", ponendo quest'ultimo non più in una posizione dogmatica, immutabile, bensì quasi in un'area conflittuale, eversiva.
Ecco dunque affacciarsi le forme. Solidi geometrici di derivazione quotidiana (scatole, soprattutto) cominciamo ad "inquinare" il panorama di una pittura che si rimproverava la propria staticità. Dall'incontro di questi elemnti disturbanti con l'energia - ora immaginifica - della scrittura orientale si genera la fase ultima del lavoro di Renata Solimini. Dapprima, nei primi tentativi del genere, i mondi sembrano studiarsi, in un connubio quasi decorativo, oggettivando di fatto la propria incompatibilità; poi iniziano a fondersi, trovando spunti dinamici nelle diverse dimensioni dello spazio.
Nelle ultime composizioni l'equilibrio delle forme è certamente ristabilito grazie anche ad un uso del colore più attento, meno selvaggio. Restano sempre le contrapposizioni forti di tinte assolute, tipiche dello stile della Solimini, tuttavia vengono temperate da accostamenti più sapienti, da giustapposizioni cromatiche finalmente integrate nell'impianto anche concettuale della tela.
La sensazione dominante al cospetto di un'opera di Renata Solimini è quella di un'esperienza in fieri, che fa però della labilità il suo maggiore punto di forza, in una sintesi tra l'essere sperimentale e la ricerca continua, metodica, di un proprio paradigma di riferimento, testimonianza di un'inquietudine creativa che va temperandosi vieppiù in personalità d'autore.
[English extract]...Renata's painting is a soul painting, but not in an expressionist sense; I would rather say, using a paradox, that her style is a kind of naturalist abstractionism, in which the particular, the ordinary, takes the form of the mind, and in this case with tangible, concrete geometric clarity, but then immediately turns into something else, in a hotbed of multiple disquiets: the result of overlaps, stratifications, and continuous re-mixes. … The dominant sensation in front of a work of Renata Solimini is a feeling of an experience in fieri, which however makes lability its greatest strength, in a synthesis between being experimental and the continuous, methodical research of her own paradigm of reference, testimony of a creative restlessness that is becoming more and more strengthened personality of author.
1997
Conosco Renata Solimini da ormai molti anni, siamo stati anche compagni di scuola, ed in lei mi sono sempre apparsi chiari i segni di una vocazione pittorica. Ancora adesso ho in mente i suoi schizzi rapidi, distratti, lasciati su chissà quale diario, o su un qualunque foglio quadrettato.
Tratti, segni lasciati a penna, ma indici – ora a posteriori – di un percorso già allora coerente.
Bastava, anche allora, soffermarsi a guardare la sua firma, già non più elementare, eppure assolutamente non adulta, sospesa in un limbo di curve morbide che ne facevano apparire al primo sguardo sicurezza e grazia estetica.
Grande importanza nella formazione di Renata ha avuto lo studio della lingua cinese per un anno accademico in Cina. Quell’esperienza ha risvegliato in lei l’esigenza di comunicare attraverso un nuovo mondo di forme nel quale – non è un caso – grafia e immagine tornano, in qualche senso a coincidere. Nascono così i suoi primi esperimenti di una fase largamente influenzata dalle suggestioni dei caratteri cinesi. Non solo: di questa fase fanno parte anche un buon numero di quadri che al mondo orientale non solo si ispirano, ma lo reinterpretano, utilizzandone forme e immagini guida.
Ad un secondo periodo appartiene il primo compiuto superamento di una pittura quasi esclusivamente grafica. In questo modo il segno diviene disegno, utilizzando la propulsione della sua stessa dinamica interna.
Il movimento delle linee, la loro estrema inquietudine, il loro tendere all’incontro ed il loro assoggettarvisi malvolentieri, sono alcuni degli elementi di questo secondo blocco della produzione di Renata. In essi si avverte già, oltre al moto, una chiara pulsione verso il colore, che va progressivamente ad accendersi, e lo spazio.
L’attitudine all’espansione delle figure dei suoi ultimi quadri apre la strada ad un approccio sempre più materico, in una sovrapposizione di tecniche che lascia presagire nuovi, prevedibili sviluppi in tale direzione.
Altra notazione doverosa è quella inerente all’uso del colore, che è in molti casi determinante. Sia negli acquerelli, che nelle tele, che nei disegni, il colore è soprattutto una linea di demarcazione, anche nei rari casi di una sua quasi totale assenza.
Yin e Yang, opposizioni dialettiche di energia, campeggiano spesso, nelle sue composizioni, sia a livello ideale che visivo, rendendo così chiaro il concetto di una coloritura usata soprattutto come contrasto, talvolta estremo.
La pittura di Renata è una pittura dell’anima, ma non in senso espressionista; direi piuttosto che il suo, usando un paradosso, è una sorta di astrattismo naturalista, nel quale il particolare, l’ordinario, prende la forma della mente, ed in questo caso con chiarezza geometrica, tangibile, concreta, ma per poi subito diventare altro, in un focolaio di molteplici inquietudini: il risultato di sovrapposizioni, stratificazioni, e continui reimpasti.
Un tempo, la pittura di Renata Solimini era fin troppo piena di elementi di conflagrazione; ora la sua ispirazione pare aver trovato anche delle necessità che travalicano gli stati d’animo dell’autrice. In alcuni casi ci si trova di fronte a dei quadri che non fatichiamo a definire di studio: non perché non siano compiuti, ma certo perché sono il frutto di una consapevolezza artistica radicata almeno quanto faticosamente conquistata.
(Dal pieghevole della Mostra “Cina e Colori”, Chiesa degli Artisti, Roma, aprile-maggio 1997)
Brochure della mostra personale alla Chiesa degli Artisti, Roma (1997) |
Mostra nella Sacrestia Chiesa degli Artisti, Piazza del Popolo, Roma (1997) |